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Il Libro Nero – Primo Capitolo – La sfida degli Dei
Anthonty Cristel
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Il Libro Nero – Primo Capitolo – La sfida degli Dei

Il sole pallido che penosamente attraversava la coltre di nuvole
che, incessante, copriva le Terre d’Oscuria, stava ormai calando.
Improvvisamente, come se l’intero continente fosse sotto un potente
sortilegio, mentre il sole aveva ormai attraversato l’orizzonte,
la nebbia si diradò completamente lasciando che le lune Senidia e
Calion splendenti illuminassero ogni dove e che le stelle scintillanti
nel cielo trasformassero l’intero regno in qualcosa di incantevole e
straordinario, dove la natura, seppur selvaggia, dominava nella sua
bellezza primordiale.
Ovunque regnava il silenzio: lungo le spiagge, tra brulle piane
luccicanti di gocce di rugiada lasciate dalla coltre sull’erba rigogliosa
e sulle foglie delle innumerevoli specie di piante, tra le oscure fitte
foreste lungo le rive del fiume Sahatnan, fin sui pendii delle montagne
di confine verso il Nord, tutto taceva.

Persino gli animali selvatici pareva fossero stati azzittiti… Ma da
cosa? Cosa stava accadendo in quelle terre lontane?
Ovunque era silenzio, ovunque tranne che a Siledar, nella capitale
delle Terre d’Oscuria, ove stava per accadere qualcosa a cui mai nessun
uomo, nano, gigante e persino nessun Elfo aveva mai assistito.
L’arena era gremita in ogni posto e nell’aria rimbombavano urla
d’incitamento verso i Signori d’Oscuria, i Dakri; sulle scalinate Elfi
sbraitavano, inveivano, scommettevano su chi avrebbe sconfitto per
primo il Signore delle Lande Verdi, su quanti incontri avesse resistito
l’invasore o su come sarebbe stato battuto.
Tutti tranne un uomo, un unico individuo che in silenzio, sotto
la sua tunica nera, attendeva l’inizio della sfida, la Sfida degli Dei:
Norgus, il Druido, che nel suo silenzio attendeva impaziente l’inizio
degli scontri.
In alto, sul Trono centrale, la Regina Oscura attendeva l’inizio
dei combattimenti, un’Elfa ora non più celata sotto il suo elmo nero
da battaglia, ma con la sua folta chioma corvina sciolta lungo le sue
spalle, intorno al cui capo portava un magnifico diadema argenteo,
al centro del quale splendeva una magnifica pietra che rendeva il suo
viso ancor più bello di quello che già era.
Indosso non portava più la sua sfavillante armatura da guerra
ma una bellissima tunica di seta nera scintillante, che donava alle
sue forme ancor più grazia e sinuosità, mentre in mano impugnava
il suo scettro su cui troneggiava un serpente di smeraldo dalle fauci
spalancate.
Al suo fi anco sedeva Gorgodhar, con in mano un calice colmo di
glasa, intento nel rispondere e salutare gli spettatori.
Finalmente una delle grate d’accesso all’arena si alzò e il silenzio
invase l’intera arena per un istante.
Dopo pochi attimi, Vanderlas, il Signore degli Elfi delle Lande
Verdi, avvolto dal suo maestoso mantello da tigre, entrò con passo
deciso, fi ero e impavido, dirigendosi proprio al centro del campo di
battaglia.

Tutti, dagli spalti, cominciarono a inveire verso l’Elfo: insulti di
ogni genere, offese, versi echeggiarono mentre Vanderlas al centro
dell’arena, impassibile, attendeva l’inizio della Sfida degli Dei e l’arrivo
dei suoi avversari.
Un corno risuonò e la grata sotto al trono, accompagnata dal
metallico rumore delle catene a cui era collegata, si aprì: «Le-se-dek!
Le-se-dek! Le-se-dek!», cominciarono a inneggiare gli Elfi Oscuri.
Dall’ombra oltre l’arco, lentamente, un impavido guerriero con
indosso una splendida armatura e un elmo neri e luccicanti come
pece liquida, con uno splendente rubino incastonato nel mezzo della
fronte del copricapo e con due else d’argento di lunghe spade
incrociate riaffioranti da dietro la schiena, avanzò verso l’avversario.
Poi, una volta raggiunto il centro dell’arena, voltandosi verso i
due Signori Oscuri, s’inginocchiò per qualche secondo.
La Regina si alzò in piedi e, dopo aver azzittito l’intera arena
sollevando le braccia al cielo, urlò: «Che la Sfida degli Dei abbia inizio!
Gli Elfi delle Lande Verdi conosceranno il nostro vero potere!
Oscuria respingerà questo affronto e vendicherà presto tale impudenza!»,

e subito un assordante boato accompagnò le ultime parole
della donna che, nel frattempo, a bassa voce, disse rivolgendosi al figlio

accanto: «Osserva bene quell’Elfo, figlio mio, osserva bene ogni
sua mossa, ogni suo movimento, ogni suo incantesimo… Cercane i
punti deboli perché quell’Elfo è l’unico in grado di sconfiggere tutti
noi…», esclamò la strega per poi voltarsi e tornare con viso torvo
verso il suo trono.
Gorgodhar subito rispose impavido: «Non temere, madre. Quello
sciocco Elfo non riuscirà mai a sconfiggere i nostri Dakri e, comunque,
nessuno riuscirà mai a sconfiggere me!». Ma, vedendo quello
sguardo preoccupato sul viso della madre della madre, l’Elfo si voltò
verso l’arena pensieroso, sussurrando: «Chi è mai quell’uomo in
grado di turbare persino il cuore di ghiaccio della Regina Oscura…
chi è mai quest’Elfo…».

Nell’arena, nel frattempo Lesedek sfoderò le sue due sciabole
e, con movimenti lenti e sinuosi, cominciò a camminare intorno al
nemico che nel frattempo attendeva immobile con il viso celato dal
suo manto di tigre.
«Sciocco Elfo… Chi ti credi di essere? Pensi forse di raggiungere
Oscuria e di impadronirtene così facilmente? Scoprirai presto che
noi siamo i veri detentori del potere! Siamo noi i veri padroni della
Magia e della Battaglia! “Memo specolux et incarnis!”».
Magicamente, l’Elfo Oscuro svanì nel nulla e, dopo pochi istanti,
attorno a Vanderlas comparvero cinque guerrieri, cinque Lesedek
che cominciarono a camminare intorno all’Elfo.
«Ora assaggerai il nostro vero Potere!», esclamò uno dei cinque,
mentre un altro rispose: «Le nostre spade a breve saranno sporche
del tuo sangue!», e un altro: «Le Sabbie di Oscuria saranno la tua
tomba!», mentre un altro ancora: «Non avresti mai dovuto sfidare la
nostra forza… Pagherai a caro prezzo questo azzardo!».
I cinque guerrieri cominciarono di colpo a correre, stringendo
sempre più il cerchio intorno all’Elfo fi no ad arrivare a pochi passi
da lui che invece restava sempre impassibile e immobile.
Improvvisamente tutti e cinque i Lesedek si scagliarono verso
Vanderlas di cui due saltando verso l’alto, due con precisi affondi dai
lati mentre l’ultimo con rapidi colpi verso la testa del nemico.
L’Elfo in un istante sfoderò la sua spada e, con velocità sovrumana,
cominciò a brandire la sua arma parando uno dopo l’altro i colpi
dei tre avversari a terra.
Poi, aspettando l’istante propizio, balzò in alto, anticipando così
i due avversari che piovevano dall’alto e, parando i colpi in volo di
entrambi, sferrò un violento calcio al viso di uno dei due, scaraventandolo
a terra a una decina di passi dagli altri.
I quattro subito arretrarono, ricominciando a correre intorno
all’Elfo, aspettando il “compagno” che, dopo essersi alzato, sputò
a terra il sangue che fuoriusciva copiosamente dalla ferita al labbro
provocata dal tremendo calcio.

Subito raggiunse i quattro compagni, prendendo nuovamente la
sua posizione.
Vanderlas, rinfoderò di nuovo la spada e, dopo aver infilato le
mani dietro la schiena, da sotto al mantello estrasse i suoi due pugnali
ricurvi dalle lunghe lame a due punte.
Appena gli avversari cominciarono ad avvicinarsi nuovamente,
l’Elfo non attese altro tempo: con un rapido scatto avanzò fi no a
uno degli avversari, proprio quello colpito in precedenza con il calcio,
correndo in cerchio insieme a lui.
L’Elfo Oscuro subito comincio a tempestarlo con le sue sciabole
di fendenti rapidi e precisi, ma Vanderlas riuscì a parare tutti i colpi
per poi sferrare a sua volta un preciso assalto verso il nemico, conficcandogli

nel fi anco uno dei suoi pugnali.
Il guerriero Oscuro franò a terra, mentre gli altri quattro improvvisamente
si dissolsero nel nulla.
Imprecazioni, urla, offese di ogni genere invasero l’arena contro
Lesedek mentre Vanderlas avanzò con passo fermo verso il nemico
a terra dolorante.
«Questa non è una ferita mortale, non ho colpito nessun organo
vitale…», disse il Signore delle Lande Verdi rinfoderando l’altro
pugnale dietro la schiena e continuò: «Per me questo è sufficiente,
questa sfida è terminata… Non voglio la tua morte, non sono qui
per questo… Io voglio la tua vita!»
«Non puoi farmi questo! Uccidimi! Non potrò mai vivere con
questa onta… Essere stato sconfitto da…. da un Elfo delle Lande
Verdi. Uccidimi o saranno loro a uccidermi!», rispose Lesedek cercando
di rialzarsi.
«No! Nessuno ti ucciderà! Nessuna mano elfica ti ucciderà. Presto
la tua spada affronterà altri nemici, ma non ora…. Resta a terra
e avrai l’occasione di mostrare la tua vera forza in battaglia, Dakro di Oscuria!».

Lesedek restò sorpreso dalle parole dell’Elfo, parole non di compassione,
pietà o di “stupida bontà” tipica degli Elfi del continente
oltre Oceano, ma parole di coraggio, valore e rispetto, e poi quel pugnale
nel fi anco sembrava stesse prosciugandogli le forze… magia
elfica certo ma, stranamente, Lesedek non volle opporre resistenza:
gli occhi di quell’Elfo erano diversi, non erano colmi di giustizia,
verità ma neppure di vendetta o cattiveria… In quegli occhi c’era
solo speranza! Sì, speranza, ma in cosa? Questo si chiedeva l’Elfo
Oscuro mentre sentiva le sue forze sempre più venir meno, fi no a
che si lasciò cadere a terra.
Un corno suonò e una grata laterale si aprì: tre Elfi entrarono
velocemente verso Lesedek ma, prima che venisse afferrato, Vanderlas
gli si avvicinò, estrasse rapidamente il suo pugnale e, dopo
aver teso la sua mano sulla ferita, sussurrò parole elfi che mentre una
luce calda e dorata fuoriuscì dal palmo della mano dell’Elfo: in pochi
secondi il taglio dell’avversario si richiuse.
«Ora andate! Portatelo via!», disse l’Elfo rinfoderando il pugnale
dietro la schiena e tornando al centro dell’arena.
Tutti gli spettatori restarono allibiti da ciò che Vanderlas aveva
appena fatto e soprattutto si chiedevano il perché del suo gesto.
Appena Lesedek fu portato fuori dall’arena, mentre la grata si
chiudeva dietro di lui, il cancello principale lentamente si aprì nuovamente
e un roboante urlò rimbombò nell’arena.
Subito il pubblico cominciò a urlare e inneggiare a gran voce:
«Gla-kan! Gla-kan! Gla-kan!».
Dopo pochi secondi una creatura immonda uscì dal cancello: la
testa e il corpo parevano simili a quelli di una donna, ma con zampe
posteriori simili agli artigli di un rapace, dietro le spalle due enormi
ali da pipistrello, con avide mani e unghie lunghe e affilate e dai lunghi
capelli, neri come la pece, tra cui spuntavano due corna ricurve
in avanti.

La creatura subito, cominciò a sbattere violentemente le ali prendendo
quota e, appena giunta a mezz’aria, emettendo un tremendo
agghiacciante urlo e dopo aver estratto dalla cinta di teschi che
portava in vita una sciabola ricurva a tre punte, si lanciò all’attacco
dell’Elfo.
Subito Vanderlas estrasse la sua spada: i due cominciarono ad
affrontarsi con numerosi e violenti colpi, ma entrambi paravano gli
affondi dell’avversario.
La creatura allora indietreggiò nell’aria sbattendo le ali veemente
per poi caricare con ancor più violenza l’Elfo ma che, con grande
agilità, riuscì a evitarla una, due, tre volte finché, attendendo l’attimo
giusto, appena la creatura si avventò nuovamente contro di lui, Vanderlas,
dopo aver evitato abilmente l’affondo, sferrò un tremendo
colpo di spada, tagliando di netto una delle due ali dell’essere che,
rovinosamente, franò a terra emettendo un tremendo urlo di dolore.
Glakan subito si rialzò e, dopo aver urlato con rabbia e brama di
sangue, corse verso l’Elfo sferrando rapidissimi colpi, sia con la sua
sciabola sia con gli artigli affilati.
Vanderlas parava ed evitava i micidiali colpi della orrida creatura
a fatica, finché Glakan, con un devastante fendente della sua spada,
riuscì a disarmare l’Elfo che subito balzò all’indietro, allontanandosi
dalla famelica creatura pronta a sferrare un nuovo attacco.
L’essere sogghigno e l’intera arena emise un boato di felicità, ma
Vanderlas allungò il braccio in avanti ed esclamò con rabbia verso
l’essere: «Ora basta! Mi sono stancato di te! “Flama spada jucstis!”», e
dalla sua mano una lingua di fuoco vivo si allungò, formando una
spada magica di fiamme.
La creatura subito smise di sorridere ma, senza perdere altro tempo,
attaccò l’Elfo che, dopo aver parato alcuni colpi, rispose sferrando
un violento fendente, tranciando di netto il braccio dell’essere
immondo con cui brandiva la spada.

L’essere, dolorante e barcollante, arretrò ma Vanderlas non perse
tempo e urlò: «Tornatene dall’Oscurità da cui sei venuta, immonda
creatura!», e rapidamente raggiunse Glakan con un balzo e, sferrando
un devastante fendente, tranciò la testa della creatura che, dopo
aver vacillato per qualche istante, crollò a terra senza vita.
Dopo pochi attimi il corpo e la testa presero fuoco e, in un istante,
le fiamme divorarono le spoglie dell’essere.
L’Elfo riaprì la mano e la lingua di fuoco si dissolse nel nulla. Il
corno suonò di nuovo mentre Vanderlas raggiunse la sua spada e,
dopo averla raccolta, la rinfoderò per poi raggiungere il centro del
campo di battaglia.
Gorgodhar si voltò verso la madre e, sorpreso, chiese: «Madre,
chi è quell’Elfo? Ha già sconfitto due dei nostri campioni senza neppure
una ferita… Chi è quell’Elfo?».
La Regina Oscura restò immobile, impassibile e con gli occhi
rivolti verso l’arena mentre il cancello nero si aprì nuovamente.
«Ta-ladh! Ta-ladh! Ta-ladh!», la platea cominciò a inneggiare e,
dopo pochi secondi, una donna, avvolta in un mantello nero, con un
lungo scettro dorato nella mano avanzò lentamente.
Era una donna bellissima, tanto bella che il suo fascino era forse
pari a quella della Regina Oscura e la sua bellezza era soprattutto nel
suo viso, nel suo sguardo, nei suoi occhi, profondi e dolci ma allo
stesso tempo potenti e terrificanti come quelli della Signora degli
Elfi Oscuri.
Vanderlas, vedendo quel viso, quei capelli dorati, insoliti per un
figlio d’Oscuria, ma proprio come quelli di Gorgodhar, e ancora
quegli occhi… subito lanciò un misterioso sguardo verso la Regina
Oscura che, come colpita da una freccia, fu scaraventata contro
il poggiatesta del suo trono; nella sua mente una voce, la voce di
Vanderlas, rimbombò: «Pensavi forse che non avessi capito chi fossi
tu veramente? Pensavi forse di potermi ingannare e di celarti a me
ancora a lungo? Ho capito chi sei dal primo istante che ti ho visto…

Ma ora non è il momento! Ora voglio sapere chi è lei! Chi è questa
Elfa?».
E in quello stesso momento Gorgodhar si alzò in piedi e urlò:
«Sorella, mostra la vera forza degli Elfi Oscuri! Mostra il vero potere
della nostra famiglia! Ta-ladh! Ta-ladh!», e cominciò a inneggiare la
strega che nel frattempo aveva raggiunto l’Elfo.
«Vuoi sapere chi è questa Elfa? È l’Elfa che ti sconfiggerà, Vanderlas!
Niente di più! Perché lei non avrà alcuna pietà di te, così
come per nessun altro! Qui non c’è posto per la pietà! La pietà è per
i deboli!», rispose mentalmente la Regina Oscura e, dopo aver aperto
gli occhi, si alzò in piedi ed esclamò: «Taladh, mostrami tutto il tuo
potere! Mostra a questo nemico il potere della stirpe di Tedleghat!».
La strega sorrise e, brandendo il suo scettro, esclamò: «Ora capirai
perché in queste terre nessuno ha mai osato metter piede! E sai
una cosa? Visto che adori tanto il fuoco, ora ti mostrerò di cosa sono
capace! “Exercit flama orbis!”», inveì l’Elfa conficcando il bastone del
suo scettro in terra, da cui una sfera di energia si espanse sempre
più e, mentre la sfera si allargava, guerrieri di fuoco si formavano
intorno a essa.
«Ora affronterai il vero potere della Magia elfica! Avanti miei
guerrieri, distruggete l’invasore!».
Vanderlas in pochi secondi fu circondato da centinaia di guerrieri
di fuoco che rapidamente avanzarono verso di lui.
L’Elfo subito estrasse la sua spada e, uno dopo l’altro, affrontò i
nemici.
La sua spada riusciva a dissolvere le magiche creature di fuoco
man mano che le colpiva, ma il loro numero era assai elevato; così,
dopo aver roteato la sua spada, balzò all’indietro cercando un po’ di
spazio.
Subito si slacciò il mantello e lo lasciò cadere a terra: la sua armatura
argentata scintillava, illuminata dalle fiamme dei guerrieri e
rendeva ancora più gloriosa la sua fi gura.

Ma quelle creature magiche non persero tempo, voltandosi e raggiungendo
subito l’Elfo.
Vanderlas allora, conficcò la sua spada a terra ed esclamò: «Pensi
forse di sorprendermi con un simile incantesimo? Ora ti mostrerò
cosa vuol dire davvero giocare col fuoco!» e, spalancando le braccia
e alzando la testa verso il cielo, urlò: «Draconis flama loe!», e una sfera
di energia, simile a quella dell’Elfa, ma molto più potente, si espanse
dal suo corpo: in pochi secondi, sopra di lui si formò un terrificante
e gigantesco Drago di fuoco che, subito si scagliò contro i guerrieri,
distruggendoli l’uno dopo l’altro, fi no a raggiungere la strega che
subito creò intorno a sé una sfera di energia oscura come scudo.
Il Drago, raggiunta l’Elfa, emise un tremendo ruggito, talmente
devastante da disintegrare la sfera che la proteggeva e, quando ormai
era pronto a scagliarsi contro la donna, in un attimo si dissolse
nel nulla mentre la voce di Vanderlas echeggiò: «Non sono qui per
ucciderti, Principessa di Oscuria. Il tuo potere è grande e presto
avrai la possibilità di mostrare il tuo vero valore contro i nemici del
tuo Regno! Io non sono qui per conquistare o per soggiogare te e
il tuo popolo… Ho bisogno di te e del tuo popolo per affrontare il
male che da nord sta preparandosi a invadere il mondo intero! Poni
il tuo scettro a terra e avrai la possibilità di mostrare il tuo vero valore!
Ti prego, Principessa elfica, poni il tuo scettro a terra!», concluse
l’Elfo accennando un sorriso e rinfoderando la sua spada.
Taladh, col cuore ancora in gola per la violenza inaudita dell’attacco
del Drago di fuoco, si sentì come rassicurata dalla voce di
quell’Elfo… Era come se quella voce la conoscesse da sempre,
come se quegli occhi li avesse già visti da qualche parte, ma dove?
Ma dagli spalti una voce spezzò quell’attimo infinito: «Non farti ingannare,
sorella! È solo un altro incantesimo di quello sciocco Elfo!
La sua lingua deve essere strappata! Non lasciare che la sua pietà
raggiunga il tuo cuore! Noi non conosciamo pietà! Noi siamo i fi gli
di Oscuria! Mostragli il nostro vero potere, uccidilo!», urlò con tremendo
disprezzo Gorgodhar.

Subito lo sguardo dell’Elfa cambiò e tutti quei pensieri si dissolsero
nel nulla.
Così strinse forte con la sua mano il suo scettro ed esclamò: «Pensi
forse di ingannarmi con le tue menzogne? Hai osato affrontare
i fi gli di Oscuria e ora assaggerai il mio potere! “Orbas divorat loe!”»,
urlò la strega tenendo lo scettro dinnanzi a sé con entrambe le mani.
Dalla punta dello scettro immediatamente si formò una sfera
oscura, un vortice nero che cominciò a divorare l’aria.
Il vortice diveniva sempre più violento e tutte le torce che illuminavano
l’arena, una dopo l’altra venivano spente, come se il buco
nero stesse divorando ogni sorgente di luce, ma per gli Elfi oscuri
questo non era un problema, perché il loro potere oscuro aveva donato
loro la capacità di vedere anche nella notte più tenebrosa.
Dopo pochi secondi il buio aveva inghiottito l’intera arena, tutto,
persino le lune e le stelle sembrava fossero state inghiottite dal
vortice, tutto tranne una sorgente luminosa al centro dell’arena, una
piccola luce ancora restava immobile, una piccola luce scintillante
come il fuoco… la pietra incastonata sulla fronte di Vanderlas.
Taladh allora fece ricorso a tutto il suo potere e urlò: «Servi
dell’Oscurità! Io vi comando e vi ordino di distruggere la Luce!»,
e dalla voragine uscirono creature senza forma che cominciarono a
volteggiare attorno all’Elfo.
Le entità cominciarono a sferrare colpi contro l’Elfo che, nonostante
il suo immenso potere, non riusciva a contrastare, come se la
mancanza di luce gli avesse tolto la forza.
«Assaggia il potere di Taladh! Questo è il vero potere di Oscuria!
», disse l’Elfa avvicinandosi verso Vanderlas che ormai stava in
ginocchio, provato dagli innumerevoli colpi inferti dalle creature
delle tenebre.
Taladh era ormai a un passo dall’Elfo mentre anche la sua luce, la
luce del suo spirito stava per essere inghiottita dalle tenebre.

La strega era pronta a sferrare il suo colpo finale quando, improvvisamente
e con uno scatto fulmineo, l’Elfo estrasse la sua spada,
trafiggendo allo stomaco la strega.
Un urlò di dolore spezzò l’oscurità e in un istante tutto si dissolse
e tutte le luci tornarono a brillare.
«Perché? Perché non hai voluto ascoltarmi?», sussurrò l’Elfo
stringendo tra le braccia la donna.
La Regina Oscura subito chinò il capo e dai suoi occhi cadde
una lacrima, mentre Gorgodhar si alzò in piedi ed urlò: «Maledetto!
No, Taladh! La mia vendetta sarà atroce! Maledetto! Ti strapperò gli
occhi e il tuo corpo sarà cibo per i vermi! Maledetto!».
Vanderlas subito estrasse la spada e, ponendo entrambe le mani
sul taglio, cercò immediatamente di guarirla, ma purtroppo la ferita
era davvero letale.
La donna rimase esanime a terra e l’Elfo sentì che il suo cuore
stava per spegnersi, così la strinse forte tra le sue braccia ed entrambi
furono investiti da una sfera di luce, talmente violenta da accecare
tutti coloro che si trovavano intorno al campo di battaglia.
Poi, alzando il braccio destro verso il cielo e aprendo la mano sul
suo petto, una lingua di fuoco s’innalzò verso il firmamento, illuminando
l’intera arena, fi no a perdersi oltre le nuvole.
L’Elfo a fatica si alzò e tenendo tra le braccia la donna, s’avvicinò
verso gli spalti dell’arena, porgendola dolcemente a Norgus che nel
frattempo era già sceso all’ultima gradinata.
«Ora il suo cuore batte ancora! Vola veloce come il vento, verso
l’isola dell’Orca. Presto arriverà Badèg e saprà cosa fare e, se Vendoras
avrà ascoltato le mie parole, sarà salva…», disse Vanderlas
porgendola al Druido che subito si accorse che la Pietra dello Spirito
sulla fronte dell’Elfo si era spenta, era diventata opaca e cupa. «Ma
tu non puoi affrontare le altre prove senza il potere della Pietra dello
Spirito, non potrai mai riuscire a sconfiggere tutti i Dakri così…
Perché hai usato tutto il suo potere per salvare la vita di quest’Elfa?

Ora la tua vita ora è in grave pericolo!», chiese Norgus prendendo
dolcemente la donna tra le braccia.
«Non pensavo fossero due, è stata davvero brava a nascondermelo
per tutto questo tempo… Non posso perderla ancor prima
di averla ritrovata! Non me lo potrei mai perdonare! E poi sai bene
che sarà proprio lei la chiave per la salvezza di Vendoras, anche se
non ero certo fosse sangue del mio sangue… Ora va, Norgus, non
perdere altro tempo! Sai cosa devi fare e non temere per me!», disse
l’Elfo voltandosi e raggiungendo lentamente il centro dell’arena.
«Ancora una volta tutto è successo come avevi previsto e questa
è una buona cosa. Buona fortuna, amico mio! Le sorti del mondo
sono riposte in te!», sussurrò Norgus per poi tramutarsi in un istante
in un gigantesco corvo e, afferrando tra le zampe la donna, prese il
volo allontanandosi nel buio della notte, dirigendosi verso est.
«Svelti, portatemi il mio arco!», urlò Gorgodhar ai suoi servi ma
subito la Regina Oscura lo raggiunse e, poggiandogli una mano sulla
spalla, disse: «No, Gorgodhar, non puoi… Nessuno dell’esercito
nemico può essere neppure sfiorato dalle nostre armi… nessuno…»
«Ma stanno portando via il corpo di mia sorella! Devo pur far
qualcosa! Non posso permettere questo! Portatemi qui Trag, svelti!»,
rispose allora l’Elfo, ma la madre subito esclamò: «Non puoi abbandonare
l’arena… Sei uno dei Campioni e, finché lui sarà in vita, non
potrai abbandonare la Sfida. La troveremo, non temere, presto la
ritroveremo!»
«Allora andrò io ad affrontarlo!», esclamò il colosso furioso,
pronto a scendere sul campo di battaglia, ma la Regina lo fermò
nuovamente e disse: «Neppure l’ordine può essere cambiato, devi
attendere il tuo momento, fi glio mio! È ancora troppo forte anche
per te!»
«Cosa? Troppo forte? Non riesce neppure a stare in piedi…»,
esclamò con rabbia Gorgodhar, ma la madre lo interruppe nuovamente:
«Basta, Gorgodhar! Devi attendere il tuo momento! Basta!».

corno suonò nuovamente mentre Vanderlas, dopo aver indossato
il suo mantello ed essersi inginocchiato al centro del campo
di battaglia poggiato alla sua spada, cercava di recuperare tutte le
energie perse.
L’arena fu di nuovo illuminata dalle torce riaccese da alcuni soldati
e, poco dopo, il cancello si aprì di nuovo.
La folla cominciò ad urlare a gran voce: «Ma-grath! Ma-grath!
Ma-grath!».
Dal buio oltre l’accesso una creatura mostruosa si fece avanti;
Vanderlas alzò il capo per vedere il suo prossimo avversario: Magrath,
Signore dei Minotauri, servo di Oscuria.
Vanderlas lo aveva già affrontato in passato e la mano d’acciaio
e la cicatrice, che segnava il viso della creatura oscura, aumentava
ancor più la rabbia e la brama di vendetta dell’essere.
«Finalmente potrò vendicare queste ferite e, soprattutto, l’affronto
subito in passato dal mio Signore, Tedleghat! Sono anni che
aspetto questo momento, Vanderlas. Ora pagherai d’aver osato posare
il tuo sguardo sulla Regina Oscura oggi come in passato e aver
condannato la stirpe di Tedleghat all’esilio in queste terre lontane
dalla Luce!» urlò il Minotauro, sfoderando la sua enorme spada e
partendo alla carica contro l’Elfo.
Vanderlas, alzandosi in piedi di scatto, cercò di schivare i colpi
del nemico, ma la sua agilità non era più come prima e diversi colpi
riuscì a pararli con gran fatica.
L’aver sacrificato gran parte del suo potere per salvare la vita
dell’Elfa aveva risucchiato molte delle sue energie vitali.
Non riusciva infatti ad anticipare l’avversario, anche perché la
rabbia e la violenza di Magrath erano devastanti.
L’unica cosa da fare era attendere l’attimo propizio per passare
al contrattacco.
Poi, finalmente, ecco l’occasione giusta: il Minotauro lasciò un
piccolo varco per sferrare un solo colpo, preciso, verso la mano

con cui brandiva la spada, così come accadde in passato, ma per
sfortuna dell’Elfo, l’acciaio di cui era fatto il nuovo arto della creatura
non era semplice metallo e il suo violento colpo non riuscì a
tagliare la mano così come fece allora.
Subito Magrath, con gran furia, rispose al colpo dell’Elfo con
una violenta percossa col piatto della sua arma, scaraventando Vanderlas
contro il muro perimetrale dell’arena.
«Pensavi di riuscire un’altra volta a sconfiggermi? Sei uno sciocco!
Vedi, questa mano è stata un regalo del mio Signore per averti affrontato!
È di Flatrax, il metallo più resistente sulla terra! E neppure
le armi elfi che possono scalfirlo! Ora ti schiaccerò come un verme
una volta per tutte! Ah-ah!», esclamò il Minotauro ormai certo della
vittoria.
Vanderlas, dopo essersi alzato lentamente e dolorante, allungò la
mano verso il Minotauro ed esclamò: «Vedi, Magrath, come allora
parli sempre più di quanto devi! Ora ti mostrerò quale sia stato il
vero dono del tuo Signore e, così come in passato, cercherò di farti
capire che stai dalla parte sbagliata! Il Flatrax non è un metallo, ma è
un’arma creata dagli Elfi nella guerra di Pietra, un’arma usata secoli
fa per sconfiggere Glatak-Red1, il Signore dei Nani, avvelenati dal
subdolo Agàth. Il tuo Signore non ha fatto altro che essere certo
che, se mai un giorno tu ti fossi ribellato a lui, avrebbe avuto il
potere di dominarti… Solo pochi conoscono e possono dominare
questo incantesimo, ma vedi, per tua sfortuna, io sono uno di quelli,
sciocco barbaro… “Flatrax dominat et olearum!”», e un cono di luce si
scaturì dalla mano dell’Elfo, investendo il nemico.
Improvvisamente, il metallo, che dapprima formava il solo arto
del colosso, divenne liquido ricoprendo dapprima il resto del braccio,
poi la spalla e, come una macchia d’olio, coprì l’intera creatura.

In un attimo Magrath fu ricoperto da quel liquido che improvvisamente
si indurì, bloccando ogni suo movimento.
«Vedi, Magrath, non sempre la forza bruta è sufficiente. A volte
il vero potere sta nell’astuzia! Ma non temere, non morirai… Anche
la tua forza sarà necessaria per sconfiggere le forze del Gasternadh!
Ora devo riposare, gli avversari ancora da affrontare richiedono tutte
le mie energie!», esclamò l’Elfo ritornando al centro dell’arena.
Il corno suonò nuovamente e quattro Elfi , con un grosso carretto
in legno, entrarono velocemente nell’arena per caricare il colosso.
Gorgodhar si alzò e si avvicinò alla Regina e, a bassa voce, le
sussurrò: «Madre, devo sapere qualcosa su quell’Elfo prima di affrontarlo?
».
La Regina guardò negli occhi il figlio, ma non disse neppure una
parola, così l’Elfo allontanandosi esclamò: «Bene, allora vado a prepararmi!
Se anche Kasha e Vladakar non saranno in grado di sconfiggerlo, sarò io a

portarvi la sua testa!».
Vanderlas raggiunse il centro dell’arena, pronto ad affrontare anche
la quinta prova.

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